Chiamala veglia. Storie tra sonno e rock
Beethoven 27%
Che c’entra Che Guevara con i capelli di Beethoven? Perché i cinesi non muoiono mai? Come mai il famoso detective Dashiell Hammett sta alle costole di Fatty Arbuckle, famigerato comico del muto? Chi smercia cocaina nel cimitero di Modena mentre un morto decisamente troppo speciale cammina per le strade della città? E ancora: tutta la verità sul vero Dracula, Sherlock Holmes indaga a Carpi, John Lennon killer a ritmo di beat. Tra metropolitane e prostitute, vescovi e scimmie, vedove vogliose e ingegneri erotomani, cercatori d’oro che trovano guai e fantasmi più vivi dei vivi, ecco sedici storie sulfuree che vanno all’arrembaggio di tutti i “generi”: dal giallo al noir, dal thriller al western, dal gotico al vampiresco. Da un autore letterario a tutto tondo, un corrosivo affondo di bisturi nella nostra beneducata mostruosità quotidiana.
Più bestie si vedono
Più bestie si vedono è un libro sul rapporto tra uomini, cose e animali. Roberto Barbolini, modenese nato nel 1951, è scrittore raffinato: narratore, romanziere, saggista, critico teatrale, in quest’opera del 2008 sembra riprendere il pensiero di Foucault, far coincidere le cose con le parole che le nominano. Il risultato, è una serie di brevi racconti beffardi in cui il bestiario antropomorfico si mescola con lo zoo umano. «Racconti brevi per partito preso» – li definisce lo scrittore – che sembrano vivere all’insegna di un darwinismo rovesciato, o meglio, di un doppio flusso che dall’umano conduce all’animale e viceversa. Il titolo riprende il proverbio «Più gente c’è, più bestie si vedono». Il paragone con la bestia è sempre stato il banco dell’umano, ma oggi le distinzioni si fanno più difficili: chi è la bestia e chi è l’uomo?
Sade in drogheria
Il Divino Marchese, paladino di ogni lussuria, vaga per la pianura Padana, annoiato, cercando di realizzare l’estremo vizio; Sherlock Holmes risolve “uno dei più singolari” casi della sua “mirabolante carriera d’investigatore” confrontandosi con l’eccentrico scrittore (e mirabile passeggiatore) Robert Walser; un gruppo di spiantati via Facebook rievoca l’era di Woodstock e di Jimi Hendrix e i preti vanno in giro con la pistola, azzannano i pitbull e sembrano sbucare da un violentissimo hard boiled. La vera perversione di Roberto Barbolini, in queste cinque rotonde storie perverse, è stilistica: con capacità passa dal racconto storico allo sketch frugale, dal gergo telematico al dettato ottocentesco. Invitando allo stesso tavolo Sade e Conan Doyle, Raymond Chandler e Giovannino Guareschi, Pier Vittorio Tondelli, Petrarca e i Pink Floyd.
Angeli dalla faccia sporca
Come un vasto tesoro di novità e riscoperte, private memorie e indimenticabili eroi romanzeschi, si schiude la biblioteca di un autore coltissimo e lieve, ironico e raffinato, capace di apprezzare la cifra del classico proprio dove l’illusoria cortina del genere sembrerebbe appannarla. L’inarrivabile Hammett, il grandissimo Chandler, il nero di rabbia Chester Himes. I maestri del giallo moderno, accanto agli immancabili precursori Conan Doyle e Poe, alla valorosa schiera degli emuli e alla discutibile fiumana degli epigoni. Quindi Stevenson, Salgari e Verne, ma anche Charles Williams e Tolkien, e Dracula a braccetto con Don Giovanni, insieme a un ventaglio di considerazioni sul doppio, il fantastico, lo sguardo estasiato del puer, il cannibalismo e l’autofagia rituale in letteratura. Fino all’elogio del comico, alla bicicletta rigorosamente scassata di Giovannino Guareschi, alla lacerante poesia di Antonio Delfini e all’indicazione di una via irregolare e autorevole che sappia osteggiare il cupo dominio delle divinità mercantili e rinnovare la tradizione nel ribollente crogiolo dei linguaggi attuali. Così che la Bellezza, insinuatasi quasi per sbaglio tra la babelica folla dei funerali di Pavarotti, spintonando tra kitsch e sublime, opera e rock, torni a mostrarsi con quella maschera d’angelo «che sapeva di fango e di tango, di bassifondi e coltelli, di sudore e di stelle» affibbiata con una battuta, oltre mezzo secolo fa, a tre vecchi campioni di calcio argentini. Sivori, Maschio e Angelillo, per chi non li voglia scordare.
Il maiale e lo sciamano
Il punteggio di Vienna
In un linguaggio colto e raffinato, che non arretra di fronte al dialetto o ai toni colloquiali, Barbolini descrive il “punteggio di Vienna” – facendo il verso ad una famosa opera di Sklovskij (Il punteggio di Amburgo) – come una gara misteriosa e coinvolgente. Tra personaggi bizzarri, prelati, prostitute, streghe e sette segrete, e sopra tutti la figura oscena della Potta da Modena, statua dal seno prominente e dal sesso assieme vasto e devastato, questo libro ci trascina fino all’ultima pagina in un turbine di sorprese e di colpi di scena.
Piccola città bastardo posto
Il romanzo è la storia di uno scrittore di provincia, Delfo Semprini, e del suo amore, forse solo sognato, o rivissuto nella memoria, per la bella Margherita. Alla vicenda principale si intreccia il filone esoterico incentrato sulla singolare figura del mago buono Geo Paiti in lotta con il perfido Melchisedec. La narrazione è filtrata attraverso lo sguardo, insieme cinico e partecipe, dei redattori di un giornale di provincia che, oltre a essere di volta in volta protagonisti di singoli episodi, funzionano da coro della vicenda.
Ligabue fandango
Una pioggia infernale di rane, un «cra-cra da giudizio universale», si abbatte su queste terre spargendo il terrore. Un coccodrillo esce dalle acque, fa strazio di corpi e ritorna nella palude. In tale incubo erra Timur il Mongolo, con la divisa da soldato e gli occhi obliqui. Disertore, incontra uno strano tipo spiritato che mugugna, fa boccacce, emette suoni disarticolati: è Antonio Ligabue, «uno che parla con la realtà invisibile», ex stalliere in un circo e buttafuoco e poi estroso pittore naïf di tigri d’«aria» e motoguzzi rosse.
Oppressivo e simbolico, semina insidie un paesaggio senza sole, già approdato con altri colori nella narrativa fantastica di Giuseppe Pederiali e nel visibilio degli irregolari custoditi nell’abbagliato universo romanzesco di Alberto Bevilacqua. Ora, proiettando orrori, utopie e passioni in un eroicomico fondale, Roberto Barbolini ambienta Ligabue fandango, fascio di terremotate avventure del leggendario artista e di una corte dei miracoli su cui emergono la bella e sensuale Angelica dallo sguardo selvatico; il figlioletto Bilìn, magro come un chiodo; il mellifluo Tenore, grasso e vizioso, in lotta con il proprio doppio; e il Ghizza, vecchio e strambo amico di Ligabue, anche lui pittore e intento a gridare ai quattro venti.
Con una prosa elettrica, di intarsi culturali e sapore popolare, Barbolini rilancia, mediante un rovente accordo con la logica e la follia delle cose, la favola di Ligabue intensificandone i tratti stravolti: eccolo con la faccia «in un’aureola maestosa di assi fradice» e, dopo la fine, contorcersi «nel fandango dei morti». Trascinato in mezzo a una sfregiata folla di comparse, il pittore parla a spezzoni di sé, del male oscuro che lo ha costretto in manicomio, condensa l’idea del sesso nell’incisione di un tronco d’albero. Preso nella giostra dell’inquietudine, protegge Angelica dalle brame del Mongolo, mentre infuria la guerra e imperversano le Bande Nere.
Repentino nel taglio delle scene, il racconto sfrutta vari livelli espressivi, disegna sviluppi pure per gli episodi più statici e non dimentica la pausa saggistica e il risvolto allegorico, ben sapendo però che lo spazio fondamentale tocca al trepestio della vita.